Umberto Eco, la morte di un gigante

Antonio Capobianco

Umberto Eco, la morte di un giganteUmberto Eco se n’è andato, come un gigante.

Eco era un gigante in vita e lo sarà anche dopo per chissà quanto tempo, forse per sempre. Era un erudito nel senso più pieno del termine, cioè a dire un cultore del sapere, un adoratore, un passionale del sapere.

Un’erudizione leggera, vissuta senza sforzo, contraria allo sforzo leopardiano della conoscenza intesa come studium, sofferenza, elucubrazione.

Per Umberto Eco la conoscenza era sì anche applicazione, ma era ed è soprattutto curiosità; e il prodotto della curiosità, quando si chiama conoscenza, è sempre qualcosa di leggero.

Che bello leggerlo, sentirlo, ascoltarlo. Rileggerlo. Riflettere su quello che ha scritto, sia nei saggi, sia nelle sue opere di narrativa.

Certo, sovente indulgeva all’autocompiacimento, e qualche volta era anche autocelebrativo, ma poteva permetterselo. Si divertiva a fare sfoggio di cultura nei suoi romanzi, quando ancora non esistevano i motori di ricerca.

Ma non demonizzava il motore di ricerca o Wikipedia, anzi, ne apprezzava i tratti innovativi, le infinite possibilità che offrono al lettore e al ricercatore.

Ieri sera, 10 febbraio 2016, non se n’è andato a Milano solo un pezzo della cultura italiana del novecento e oltre: ieri sera se ne è andato un pezzo di cultura del mondo, nel mondo.

Lui, tradotto e apprezzato in innumerevoli Paesi, era ed è un riferimento, un’assicurazione, un punto fermo. Sì, certo, la semiotica, la filosofia, la storia, la sociologia, il professore e tutto ciò che di “culturale” si possa ancora dire.

Ma Umberto Eco è e resta i suoi libri e i libri di tutto il mondo, perché prima ancora di essere uno scrittore, e che scrittore, era ed è un impenitente amatore della letteratura. Un gigante che legge e scrive amando.

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