Il prossimo 17 aprile si celebrerà il referendum per sapere se le trivelle continueranno a scavare a pochi chilometri dalle nostre coste.
Questa è la prima volta, nella storia repubblicana, che viene promosso un referendum senza l’apposita raccolta di firme, da momento che, a richiederlo, sono stati nove consigli regionali.
Il quesito referendario riguarda le concessioni già in essere, e la possibilità o meno che queste siano rinnovate. Si parla di autorizzazioni riguardanti piattaforme che si trovano entro 12 miglia dalle coste italiane.
Fra i sostenitori del “sì”, cioè del non rinnovo delle concessioni, ci sono pressoché tutte le associazioni ambientaliste, schierate fino alla morte a salvaguardia del patrimonio ambientale, visto lo sfruttamento senza regole alla base delle concessioni.
Fra i sostenitori del “no” ci sono le aziende del settore energetico, le quali negano che si tratti di attività a rischio e denunciano le conseguenze negative per l’industria, oltre che per l’occupazione, nazionale.
Ma il problema è che la data del referendum non è stata accorpata con quella delle prossime amministrative, e quindi i cittadini non solo sono poco informati, ma molto probabilmente non si recheranno in massa al voto, perché l’interesse rispetto alle amministrative è comunque minimale.
E questo nonostante, in base a recenti sondaggi, la gente sia comunque orientata per il “sì”.
Nel caso non si raggiunga la cifra il 50% più uno degli aventi diritto al voto, il referendum non produrrà i propri effetti giuridici.