Sushi, amputata mano dopo una cena giapponese

Antonio Capobianco

La cucina giapponese è tra le più gustose ed apprezzate al mondo, e il suo piatto più conosciuto è senza dubbio il sushi, che negli ultimi anni ha conosciuto un vero e proprio boom anche qui in Italia, dove generalmente le tradizioni culinarie sono ben differenti.

Ma, come noto, bisogna sempre far attenzione alla qualità del cibo che si assume, ed ancora di più quando ci si trova a consumare pesce crudo, che può veicolare numerosi batteri potenzialmente anche letali.

In primis infatti il sushi mal conservato può provocare il botulismo alimentare, una malattia paralizzante provocata da una tossina che è prodotta dal batterio Clostridium botulinum.

I sintomi di questa malattia, che non è trasmissibile, compaiono rapidamente e provocano annebbiamento della vista, difficoltà di espressione, secchezza della bocca, debolezza muscolare e paralisi. Il botulismo si cura con un’antitossina da somministrare il prima possibile, per non rischiare addirittura la paralisi di tutti gli organi e quindi la morte.

Un parassita molto pericoloso è il Diphyllobothrium latum, responsabile di un’infezione chiamata difillobotriasi o tenia del pesce, che può provocare una carenza della vitamina B12 e anemia.

I rischi di contrarre queste infezioni da parassiti sono ovviamente maggiori se il pesce non è stato abbattuto o conservato correttamente perciò è importante rifornirsi solo presso ristoranti e supermercati di fiducia dove si è più sicuri della provenienza e del rispetto delle norme vigenti.

Il rischio più comune è quello di incappare nella sindrome sgombroide, che nel giro di un paio d’ore dal consumo provoca diversi sintomi, soprattutto eritema, pruriti, tachicardia e disturbi gastrointestinali. E’ quello che viene comunemente “mal di sushi” e consiste nella reazione all’eccessiva esposizione ad amine biogene, come l’istamina. Queste sostanze vengono prodotte in grandi quantità durante il processo di putrefazione di alcune specie ittiche, come tonno, sgombro, sardine, ricciole e alici.

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Ma il pesce crudo può essere anche contaminato da vibrioni. Tra le sue specie più famose troviamo il Vibrio cholerae (responsabile del colera).

Se si consuma pesce e mitili crudi contaminati da vibrioni l’infezione provoca una sintomatologia di tipo gastroenterico più o meno grave.

E sicuramente sono gravissime le conseguenze che ha dovuto affrontare un anziano, all’indomani di una cena a base di sushi.

Secondo quanto riporta la rivista scientifica New England Journal of Medicine, circa 12 ore dopo il pasto, l’uomo, un sudcoreano di 71 anni, ha notato la comparsa di alcune vesciche sulla mano.

L’arto ha poi iniziato a gonfiarsi e a riempirsi di lividi, mentre le condizioni di salute del 71enne – affetto anche da diabete di tipo 2, ipertensione e problemi ai reni – hanno cominciato a peggiorare, con febbre alta e forti dolori.

I medici del pronto soccorso gli hanno prescritto degli antibiotici ma la terapia non ha funzionato: l’infezione si è estesa, salendo dalla mano fino all’avambraccio.

Tornato in ospedale, l’uomo è stato sottoposto ad una serie di analisi e si è scoperto quindi che aveva contratto una vibriosi, ovvero una infezione batterica causata dal consumo di pesce crudo (comprese ostriche e crostacei).

Le condizioni comunque hanno continuato ad aggravarsi fino a quando poi c’è stata una sola soluzione per potergli salvare la vita: tagliargli la mano.

Per fortuna questa infezione in Italia non è molto diffusa poiché è obbligatorio il processo di abbattimento per quanto riguarda il pesce crudo: si congela a temperatura di almeno -20° per un tempo non inferiore a 24 ore con un macchinario chiamato abbattitore professionale, obbligatorio in tutti i ristoranti che servono pesce crudo, al fine di eliminare tutti gli eventuali batteri presenti.

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