Solo negli Stati Uniti nn recente studio su JAMA ha dimostrato che l’obesità è aumentata notevolmente tra il 2007-2008 e il 2015-2016, in questo periodo di tempo, la percentuale di adulti americani obesi è passata dal 33,7 al 40% e la percentuale di adulti con grave obesità è aumentata dal 5,7% al 7,7%. Tra i bambini e gli adolescenti statunitensi, quasi 1 su 5 sono obesi, tali numeri sono forieri di un aumento delle malattie croniche, difatti la principale causa di morte e disabilità negli Stati Uniti, compreso malattie cardiache, diabete e alcuni tipi di cancro, sono condizioni tutte legate all’obesità.
Ma l’obesità è una problematica sempre più pressante anche nel nostro paese: infatti se è vero che siamo ancora piuttosto distanti dai numeri fatti registrare negli Stati Uniti, dove il 40% della popolazione soffre di questo disturbo e nel Regno Unito e nell’Irlanda, dove invece si tocca il 30%, non dobbiamo comunque prendere sottogamba i dati provenienti direttamente dall’Istat. In Italia, gli obesi sono l’11% della popolazione, in crescita rispetto al 9% registrato a cavallo del 2000.
E il peggio non è alle spalle: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2030 saliremo al 20%. Non solo: oggi il 45% dei connazionali è sovrappeso, nel 2030 la quota supererà il 50%. Ci avviamo insomma a diventare una nazione in cui oltre due persone su tre avranno un bel po’ di grasso in eccesso.
Ma per chi è sovrappeso è inutile nascondersi dietro un dito e dare la colpa di tutto alla genetica: uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Centro della Complessità e i Biosistemi(CC&B) dell’Università di Milano ha infatti appena dimostrato che fattori quali ambiente e stile di vita seguito sono molto più determinanti nello sviluppo dell’obesità rispetto ai geni ereditati.
Precedenti studi avevano teorizzato che questo disturbo potesse avere un’origine genetica. Un’ipotesi che, almeno ad oggi, vale soltanto nel 5% dei casi più seri. Il solo contributo genetico non è sufficiente a giustificare la maggior parte delle variazioni individuali dell’indice di massa corporea, che invece sono da attribuire ad elementi ambientali e di stile di vita.
“I nostri risultati dimostrano che l’ambiente ha un ruolo più importante del genoma nello sviluppo dell’obesità. Non si diventa obesi perché si ereditano alcuni geni sfortunati. Non è questione di sfortuna, ma di condizioni che possono essere cambiate. Per questo è importante studiare l’obesità in un contesto più ampio, che includa sia fattori interni che esterni, e le loro interazioni reciproche”, ha spiegato Caterina La Porta, docente di patologia generale al Dipartimento di scienze e politiche ambientali dell’Università di Milano e coordinatrice dello studio.
Un ulteriore conferma dell’importanza degli stili di vita viene dai risultati di una decina di studi, condotti negli anni su 93.000 persone, che rivelano come non sempre l’essere magri corrisponde a un’esistenza più estesa, tutto dipende dallo stile di vita che si conduce.
Quando l’attività fisica è scarsa, la mortalità crescerebbe sempre, mentre chi è in buona forma sarebbe più protetto indipendentemente dal suo BMI, l’indice di massa corporea.
“Non c’è contraddizione fra i dati raccolti negli ultimi anni e il concetto che i chili di troppo fanno male, il grado di fitness è sicuramente un indicatore delle condizioni del singolo più valido rispetto all’indice di massa corporea“: così spiega Ferruccio Santini, docente di Endocrinologia all’Università di Pisa e presidente eletto della Società Italiana dell’Obesità.
«L’indice di massa corporea è un parametro che può servire negli studi di popolazione, ma a livello del singolo individuo ha poco significato. Non dice infatti nulla della proporzione del grasso rispetto alla massa muscolare, né di come sia distribuito: non tutto fa male infatti, quello dannoso è il grasso viscerale attorno agli organi, responsabile della pancia. La misura del girovita, quindi, sarebbe già più indicativa: un uomo con gambe e braccia fini ma la pancia grossa può avere un indice di massa corporea basso ma il suo rischio cardiovascolare è sicuramente alto».
Fare esercizio fisico è perciò il modo migliore per prevenire l’obesità e pure per riportare indietro l’ago della bilancia: non a caso, infatti, solo chi dimagrisce facendo sport ha una buona probabilità di non recuperare i chili persi.
L’esperto ha dato anche una spiegazione sul paradosso dell’obesità, secondo cui esisterebbe un tipo di obesità metabolicamente “sano” e che offrirebbe una migliore sopravvivenza rispetto a chi è normopeso, anche in persone con problemi di salute. Santini spiega che per diverse patologie “essere magri è uno svantaggio perché si hanno meno risorse fisiche e nelle fasi terminali si muore prima. Chi ha le “riserve” di energia del sovrappeso vive un po’ più a lungo, ma il gioco non vale la candela perché in linea generale l’effetto dei chili di troppo è sempre di accorciare l’aspettativa di vita”.