Mafia, lo Stato chiede 2 milioni alla famiglia di Totò Riina

Angela Sorrentino

Mantenere un detenuto in carcere non è certo uno scherzo per le casse dello stato e se aggiungiamo che le stesse carceri sono sovraffollate e vi spesso anche il doppio dei detenuti ordinariamente consentiti, si capisce quale sia l’effettivo esborso che ogni anno lo stato sia costretto a sobbarcarsi.

Ben venga, quindi, che l’erario provi a recuperare quanto speso, quando le famiglie dei detenuti possono fattivamente sostenere la permanenza in carcere del proprio congiunto.

In queste ore sta facendo però molto discutere la cifra chiesta al super boss della Mafia, Totò Riina: ai parenti del padrino corleonese di Cosa nostra, morto il 17 novembre 2017, è stata notificata da Riscossione Sicilia una cartella esattoriale di circa 2 milioni di euro per le spese sostenute per il mantenimento in carcere del capomafia.

Una cifra che può sembrare “esagerata”, ma ricordiamo che Riina, arrestato il 15 gennaio del 1993 dopo 23 anni di latitanza, ha trascorso in cella, al 41 bis, 24 anni.
Ad attivare la procedura di recupero del credito sarebbe stato, attraverso il ministero della Giustizia, il carcere di Parma, ultimo istituto penitenziario in cui il capomafia è stato detenuto.

Dal canto loro i familiari non ci stanno a pagare. “A noi sembra una boutade perché la legge esclude espressamente che il rimborso per le spese di mantenimento in carcere si estenda agli eredi del condannato. Perciò stiamo studiando bene la questione per vedere in che termini è”, ha commentato il legale dei Riina, l’avvocato Luca Cianferoni.

Next Post

Delitto d’onore, fino a pochi anni fa era contemplato anche in Italia

Negli ultimi anni è cresciuto esponenzialmente il numero dei cosiddetti “femminicidi”, omicidi commessi in gran parte a scapito di mogli, compagnie, ex fidanzate. Perché? Perché essenzialmente per tanti uomini è inammissibile accettare di essere lasciati, che la “propria” donna non sia un oggetto o una proprietà, che si può chiudere […]
Delitto donore fino a pochi anni fa era contemplato anche in Italia