La recente scoperta della NASA sulle conseguenze dei viaggi spaziali sulla salute degli astronauti ha messo in luce nuovi dettagli sui mal di testa e altre problematiche legate alla permanenza in ambiente a microgravità. Questa ricerca, che combina studi di neurologia, fisiologia e immunologia, evidenzia la complessità delle sfide mediche che gli astronauti devono affrontare nello spazio.
Uno degli aspetti più intriganti emersi dalla ricerca riguarda le camere piene di liquido nel cervello degli astronauti, conosciute come ventricoli, che si espandono in assenza di gravità. Questa espansione è una delle modalità con cui il corpo si adatta alla microgravità, ma il ritorno alla normalità una volta tornati sulla Terra non è immediato e può richiedere fino a tre anni. Il periodo di recupero suggerisce che potrebbe essere necessario un intervallo di tempo simile tra le missioni spaziali per permettere al cervello dell’astronauta di prepararsi adeguatamente a una nuova esperienza in assenza di gravità .
La salute del sistema immunitario è un’altra area di interesse. La ricerca ha mostrato che i T-cells e le cellule NK, difensori cruciali del nostro sistema immunitario, subiscono una riduzione della loro funzionalità durante il volo spaziale. Questo indebolimento può riattivare virus altrimenti latenti e portare a malattie lievi, manifestazioni allergiche e persino eruzioni cutanee. Tuttavia, il sistema immunitario tende a tornare al suo stato normale una volta che gli astronauti rientrano sulla Terra, nonostante le difficoltà incontrate durante la permanenza nello spazio.
Per quanto riguarda la salute ossea e muscolare, gli astronauti perdono dal 1% al 2% della massa ossea per ogni mese trascorso nello spazio, a causa della mancanza di gravità che segnala agli osteoclasti di iniziare a degradare l’osso non necessario. Sebbene la perdita ossea si arresti al ritorno sulla Terra, resta da vedere se il nuovo osso formato sia della stessa forza o più debole rispetto all’originale. Inoltre, per compensare la mancanza di esposizione naturale alla radiazione ultravioletta, che è necessaria per la produzione di vitamina D, gli astronauti assumono integratori. Anche l’accumulo di ferro nel corpo è un fenomeno osservato, probabilmente a causa della riduzione del numero di globuli rossi e del volume del sangue in microgravità.
Un aspetto curioso riguarda la cosiddetta “malattia dello spazio”, un malessere che colpisce gli astronauti a causa dell’adattamento del corpo all’ambiente di microgravità, influenzando sia la loro capacità fisica che mentale. Questa condizione, oltre a provocare disorientamento e nausea, è esemplificativa delle numerose sfide che l’ambiente spaziale pone al benessere umano.
La prevenzione di queste problematiche è al centro delle ricerche della NASA, che includono misure come l’esercizio fisico quotidiano, supplementi vitaminici, e un ambiente di vita pulito. L’esercizio fisico, in particolare, svolge un ruolo cruciale nel mantenere in salute muscoli e ossa, compensando in parte la loro atrofia e la perdita di densità ossea dovute alla microgravità.
La comprensione approfondita di queste questioni è essenziale non solo per migliorare la qualità della vita degli astronauti durante le missioni spaziali ma anche per prepararsi a future esplorazioni di lunga durata, come i viaggi verso Marte, che presentano sfide ancora più significative per la salute umana nello spazio.