Le cardiopatie colpiscono le persone distinguendosi principalmente in due classi quelle congenite e quelle che si acquisiscono successivamente nel tempo, tecnicamente la cardiopatia è una malattia che interessa ovviamente il nostro cuore dal punto di vista strutturale o funzionale, ma quando si parla di valvole cardiache e di interventi chirurgici, soprattutto in età avanzata, ci si trova sempre davanti ad una scelta molto spesso combattuta: sarà possibile evitare tali interventi in futuro?
Le cardiopatie si possono distinguere in due macroclassi: congenite, se presenti sin dalla nascita, acquisite se si sviluppano in epoca successiva.
Le cardiopatie valvolari possono alterare la normale circolazione del sangue all’interno del cuore, con ripercussioni sulla salute generale del soggetto, che in molti casi non sarà più in grado di svolgere serenamente le consuete attività. Si possono sviluppare nello stadio fetale (cardiopatie congenite), essere acquisite nel corso dello sviluppo o conseguire a un’infezione. La tipologia più diffusa è rappresentata dalle cardiopatie valvolari acquisite. L’eziologia è in alcuni casi sconosciuta, ma implica cambiamenti della struttura delle valvole cardiache dovuti a depositi di minerali sulla valvola o sul tessuto limitrofo.
Il trattamento chirurgico è necessario nei casi più gravi. La cardiochirurgia si è evoluta nel tempo consentendo spesso approcci di riparazione della valvola cardiaca, evitando un intervento di sostituzione della stessa.
Se fino a poco tempo l’unica strada percorribile erano gli interventi chirurgici, ora la medicina ci mette a disposizione una nuova opzione: si tratta di un approccio più soft rivolto a tutti i pazienti che soffrono di cardiopatie strutturali.
Il trattamento per via percutanea della valvole cardiache ‘senza bisturi’ rappresenta oggi, per i pazienti anziani, un’innovazione interventistica di grande rilievo, poiché si baserebbe su trattamenti innovativi e meno rischiosi grazie al fatto che non prevedono anestesia generale e l’apertura con bisturi del torace.
Di questa interessante novità si è parlato a lungo durante la 3° giornata del 79° congresso della Società Italiana di Cardiologia di Roma.
Potrebbe sembrare un po’ strano pensare di poter avere qualche pezzo di maiale dentro il nostro organismo, invece in alcuni casi potrebbe davvero salvarci la vita. Stiamo parlando di Tavi, ovvero l’impianto di una valvola di maiale inserita grazie a un catetere presente nell’arteria della gamba. In questo modo, senza dover ricorrere all’anestesia generale e tantomeno aprire il torace, molti pazienti potranno avere a disposizione un apparato cardiovascolare nettamente più efficiente.
Cardiologia, una nuova strada per evitare gli interventi sugli anziani
La metodica prevede un’anestesia locale ed è suddivisa in due fasi: valvuloplastica – per aprire la valvola aortica nativa e predisporre il posizionamento della protesi – e impianto della protesi valvolare. Il cardiochirurgo si avvale di una serie di cateteri che, introdotti dall’arteria periferica femorale, vengono portati in posizione sotto continuo monitoraggio ecografico.
I cateteri sono costituiti da un palloncino – che una volta gonfiato a pressione sblocca il restringimento della valvola aortica ammalata – e un altro dispositivo per il rilascio della nuova valvola. Rimosso il palloncino impiegato per la riapertura valvolare, il secondo sistema raggiunge la valvola aortica stenotica. Una volta individuato il punto corretto d’impianto avviene la distensione dello stent metallico all’interno del quale si trovano le cuspidi della protesi biologica. Lo stent mantiene in sede la bioprotesi che inizia a funzionare come una valvola aortica naturale.
Al momento la Tavi, a 15 anni dalla sua introduzione nella terapia della stenosi valvolare aortica calcifica dell’anziano ad alto rischio chirurgico (paziente in età avanzata con comorbidità quali broncopneumopatia cronica ostruttiva- Bpco, insufficienza renale, aorta a porcellana, fragilità globale), si è affermata come una metodica esclusiva per il trattamento dei pazienti ad altissimo rischio chirurgico e alternativa e competitiva con la chirurgia per i pazienti a rischio intermedio o basso.
In Italia, pur essendo in aumento il numero delle Tavi di circa 4.000 unità, tale tecnica viene sottoutilizzata perché rispetto al fabbisogno di circa 300 pazienti per milione di abitanti, nel nostro Paese il numero di pazienti trattati è 68 per milione di abitanti.