Le immagini del ponte Morandi che si sbriciola come se fosse fatto di sola sabbia, portando con sé la vita di decine di persone, ci rimarranno per sempre impresse nella memoria.
Nulla potrà riportare in vita le vittime, ma certamente trovare la verità e chiarire tutte le eventuali responsabilità aiuterà ad andare avanti chi si è visto cambiare la vita per sempre quel tragico 14 agosto 2018.
Dal primo momento si è intuito che alla struttura mancasse anche l’ordinaria manutenzione, ma le prime relazioni dei periti tracciano una realtà a dir poco inquietante.
Gli esperti hanno esaminato le condizioni di conservazione e manutenzione dei manufatti non crollati e delle parti precipitate ed hanno potuto verificare come le cause principali del crollo siano imputabili ad anni di mancate manutenzioni efficaci a contrastare degrado e corrosione ma anche «difetti esecutivi» rispetto al progetto originario.
Per quanto riguarda il reperto 132 (l’ancoraggio dei tiranti sulle sommità delle antenne del lato Sud), considerata dalla procura la prova regina perché è il punto che si sarebbe staccato per primo, i periti hanno individuato nei trefoli “uno stato corrosivo di tipo generalizzato di lungo periodo, dovuto alla presenza di umidità di acqua e contemporanea presenza di elementi aggressivi come solfuri e cloruri”.
Nelle 72 pagine di relazione vengono descritti i particolari, documenti un 19% di cavi di acciaio completamente corrosi, un 22% con riduzione di sezione del ‘75%, poi il 27% con riduzione del 50% e il restante 18% con riduzione di sezione del 25%. E sul tampone (cioè la soletta) della pila 9 “le nervature presentano fenomeni di degrado localizzati”.
Ricordiamo che attualmente l’inchiesta vede indagate 71 persone, insieme alle due società Autostrade e Spea. I reati, a vario titolo, sono di omicidio colposo, omicidio stradale colposo, disastro colposo, attentato alla sicurezza del trasporti e falso.