Scoperti oltre 120 anni fa, i raggi X furono individuati per caso dal fisico tedesco Wilhelm Roentgen, che fece la scoperta durante alcuni esperimenti con fasci di elettroni in un tubo carico di gas.
Roentgen pose alcuni oggetti tra il tubo e lo schermo, e lo schermo brillava. Alla fine provò a mettere una mano davanti al tubo, e vide la sagoma delle sue ossa proiettata sullo schermo fluorescente. Subito dopo aver scoperto come funzionano i raggi X, aveva scoperto anche la loro applicazione più vantaggiosa.
La tecnologia a raggi X permette infatti ai medici di vedere direttamente attraverso i tessuti umani e di esaminare così le ossa rotte, le cavità e valutare l’ingestione di oggetti con facilità straordinaria.
Nella radiografia, un fascio radiogeno, prodotto da un generatore di raggi X, è trasmesso attraverso un oggetto, per esempio la parte del corpo da esaminare. I raggi X sono assorbiti dalla materia che attraversano in quantità variabili, a seconda della sua densità e composizione . Una parte dei raggi che non viene assorbita attraversa l’oggetto e viene registrata su una pellicola sensibile ai raggi X. Mentre le ossa assorbono particolarmente bene i raggi X, i tessuti molli, come le fibre muscolari, che hanno una densità inferiore rispetto alle ossa, ne assorbono una quantità minore. Ciò produce quel contrasto tipico delle immagini a raggi X, con le ossa che appaiono come aree bianche chiaramente definite e i tessuti come aree più scure.
La quantità delle radiazioni alle quali viene esposto il paziente è varia in base all’esame cui viene sottoposto: una Tac del torace, ad esempio, equivale a effettuare 385 radiografie del torace. Anche nella vita quotidiana, tuttavia, siamo esposti alle radiazioni: ad esempio si stima che un volo aereo intercontinentale andata e ritorno dall’Europa all’America equivale ad eseguire 5 radiografie del torace.
Ma quanto fanno male le radiazioni? È indubbio che abbiano effetti collaterali, ma certamente quando l’esame è indicato, anche se espone a una dose di radiazioni relativamente elevata, offre vantaggi che superano i rischi. Al contrario, l’esposizione non giustificata può comportare un inutile danno per il paziente.
Ed è proprio su questo che vogliono focalizzare l’attenzione i dentisti italiani: sulla poltrona del dentista si rischiano ‘abbuffate’ di raggi X “a volte inutili e potenzialmente pericolose”, avvertono gli esperti della Società italiana di parodontologia e implantologia, riuniti a Rimini per il loro 20esimo Congresso nazionale.
Raggi x per verificare la presenza di carie o per capire come fare un impianto dentale, spiega il presidente SIdP Mario Aimetti, “rappresentano uno strumento importante per la salute della bocca ma il nostro obiettivo è richiamare a un utilizzo appropriato, limitato ai casi in cui è necessario e sempre scegliendo il test meno ‘pesante’ dal punto di vista dell’esposizione a radiazioni”. Bisogna “usarli solo quando serve”, ammonisce la Sidp. “Tac e radiografie ortopanoramiche dovrebbero essere impiegate solo dopo un’attenta valutazione clinica”.
“Basta una sola Tac per assorbire circa la metà della dose di radiazioni di fondo naturali a cui siamo esposti nell’arco di un anno”, spiegano gli esperti che avvertono: “Essere ‘di manica larga’ con i raggi X non è senza conseguenze”, perché “chi si sottopone a più di un esame radiologico dentistico l’anno ha un rischio di tumori tiroidei o anche cerebrali”.
“Le radiografie ai denti rappresentano uno strumento importante per mantenere la salute della bocca – premette Mario Aimetti, presidente della Sidp – ma è bene evitare gli abusi e sforzarsi di limitare le esposizioni alle radiazioni soltanto quando servono davvero e possono tradursi in un beneficio per i pazienti. Il nostro obiettivo è richiamare a un utilizzo appropriato, limitato ai casi in cui è necessario e sempre scegliendo il test meno ‘pesante’ dal punto di vista dell’esposizione a radiazioni ionizzanti”.
Come fare quindi a conciliare il bisogno di ‘vederci chiaro’ con la necessità di prevenire eventuali abusi? “Ci sono molti modi con cui si può diminuire l’esposizione dei pazienti alle radiazioni senza compromettere l’efficacia diagnostica – assicura Luca Landi, presidente eletto Sidp – Oltre a impiegare protezioni per le aree sensibili durante il test, come il collare o il camice piombato, è importante anche ridurre al minimo l’area analizzata”.
“Con un esame a piccolo e medio raggio, ovvero su 5-6 denti, su un’intera arcata o metà bocca – puntualizza Landi – ci si espone a dosaggi fra i 5 e i 600 microsievert, ma se si fa un test ad ampio raggio su tutto il cranio il dosaggio può crescere fino a 1.400 microsievert e in un bambino, per esempio, ciò equivarrebbe a un’esposizione pari a quella che avremmo in 10 anni di radiazioni naturali di fondo”.
“Per pazienti con una bocca sana e non a rischio – è il consiglio finale – le linee guida dell’associazione suggeriscono non più di una mini-Rx ogni 1-2 anni da bambini, una ogni anno e mezzo-3 anni da adolescenti e una ogni 2-3 anni da adulti. Per chi ha problemi dentali il numero può crescere, ma è essenziale che il dentista prescriva l’esame diagnostico con le radiazioni ionizzanti solo quando serve davvero”.